aborti siete voi

lo so, è facile per chi non ha più l’età, per chi ha già dato (e avuto) scrivere quel che sto per scrivere, ma è dai tempi del referendum sulla fecondazione assistita che lo covo

vorrei che le donne riuscissero ad ergersi davanti agli aborti che si permettono, in questi giorni più che in altri, di giudicarle e di pretendere ancora e sempre il loro dolore e e le loro lacrime, con l’unica risposta che meritano, loro e il mondo che li esprime e che “sa sempre tutto” sulla pelle degli altri

fateveli da soli, ‘sti figli

e, per una volta, citerò Il Foglio

Guia e l’aborto (un problema che non riguarda coloro che ne parlano)

UN’OBIEZIONE RADICALE ALLE POSIZIONI DEL FOGLIO. LA RIVENDICAZIONE DELLA POSSIBILITÀ DI DARE O NEGARE LA VITA

Il bello è che non ne parla mai chi sa di che cosa si stia parlando. Ne discettano tutti da studiosi, col loro bravo riflesso pavloviano “l’aborto-è-un-dramma”. L’altra sera, a Matrix, l’aborto era un dramma per tutti i dibattenti. Detto da chi difendeva la 194, faceva un po’ tenerezza: una legge che è come un parente un po’ scemo, da difendere pur vergognandosene. A un certo punto è comparsa una signora e ha detto che è inutile continuare a parlare di contraccezione, nei paesi ad alto tasso di contraccezione le donne abortiscono come altrove. Ottimo. Quindi la contraccezione non serve, l’aborto è una tragedia dell’umanità, riproducetevi come coniglie e andate in pace. Il bello è che non parla mai chi è interessato all’argomento. A dibattere di quel che devi fare se ti accade di aspettare un figlio senza averne alcuna voglia sono sempre uomini senza figli (vescovi e non) e donne ormai al sicuro da quello scivoloso crinale che è l’arco dell’età riproduttiva e che, mi piace pensare, in gioventù abortirono – con dramma interiore, si capisce – e ora ne sono talmente pentite da voler risparmiare a tutte noi questa possibilità. Non si può dire che non siano altruiste. Certo hanno le stesse probabilità di finire in un consultorio a elemosinare Ru486 e a ricevere buoni consigli da quelli che preferiscono la riproduzione (specie se praticata da altri) che ho io, e la somma di queste probabilità è zero. Il direttore di questo giornale, che ha fatto la sua brava campagna per astenersi dal voto e dalla creazione di embrioni, e l’ha fatta giurando che era orrendamente in malafede chi pensava quella per la fecondazione fosse la prima tappa di una lunga campagna che aveva per obiettivo ultimo l’aborto, ha detto che per carità lui non vuole tornare all’aborto illegale. Pochi secondi dopo ha dichiarato il proprio obiettivo: il numero di aborti effettuati dev’essere portato a zero. Enrico Mentana avrà avuto le sue buone ragioni per non chiedergli come pensi di conciliare le due cose: niente aborti legali, niente aborti illegali… iniezioni obbligatorie di senso materno? Sterilizzazione? Certo non semplice contraccezione, visto che di lì a poco la sua sparring partner ha appunto argomentato che è inutile, le cittadine di quei paesi sciamannati in cui si fa dissennato utilizzo di contraccezione fanno uso altrettanto dissennato di interruzione di gravidanza. Avrò sicuramente capito male, ma mi è sembrato di cogliere il percorso auspicato dal direttore di questo giornale nella sua risposta a una domanda sui volontari del Movimento per la vita. Usando più o meno le stesse parole che di lì a poco, in un servizio, avrebbe usato proprio uno dei volontari in questione, l’uomo che vuole zero aborti legali e zero illegali ha detto che le donne convinte dai volontari pensavano di non volere figli “in un primo momento”, ma “poi sono contente”. Queste sciocchine. Puoi convincerle a cambiare idea sulla loro volontà di fare un figlio con la stessa facilità con cui le puoi convincere a comprare una gonna in saldo. Puoi convincerle a fare un figlio e poi non potranno che esserne contente, è ineluttabile, tutti i genitori amano i figli, si sa, tutti gli esseri umani sono dotati di istinto genitoriale, diamine. La settimana scorsa questo giornale, che quando si tratta di sostenere le proprie idee non va troppo per il sottile, ha pubblicato la lettera dei genitori di Holly Patterson, che due anni fa morì di infezione dopo aver preso la Ru486. Aveva diciassette anni. Io non ho ben capito, ma è sicuramente un limite mio, perché da queste parti ce la si abbia tanto con la Ru486. Ho l’impressione che non sia perché si sta con la salute delle donne invece che con la lobby dei medici, che sia piuttosto un problema di “se devi abortire, che almeno la cosa ti sia di un qualche peso, niente vie brevi e niente anestesia generale, ché devi stare ben sveglia e renderti conto della porcata che stai facendo” – ma sono certa di stare travisando. Dunque c’era questa lettera, in cui i genitori – che avendo scelto all’epoca di generare e non di abortire sono evidentemente persone migliori di me e persino della loro stessa defunta figlia – scrivevano che “Holly non era una ragazza sola, disamata, senza protezione o appoggio”. Quella ragazza amata e appoggiata dai genitori, quell’abitante di una famiglia felice di quelle che si creano solo in una cultura della vita, preferì morire piuttosto che rivelare ai suoi genitori che aveva fatto una cosa turpe come scegliere di non avere un figlio a diciassette anni. Lo so, non bisogna infierire su persone devastate dal dolore. Ma loro per quanto devastati sono vivi, e mi piacerebbe sapere se alla povera Holly, morta di emorragia per non farsi sgridare, avevano insegnato i fondamentali della contraccezione. Aveva diciassette anni, mica sette. Io ero certamente disattenta. Probabilmente confusa dalla visione dei volontari del Movimento per la vita, impegnata a pensare che “fanatismo religioso” fosse una tautologia, con un calo di concentrazione dovuto all’ora tarda. Perché giurerei che, nel dibattito su Canale5, il direttore di questo giornale abbia detto che “la salute della donna risiede nella sua capacità di generare” – e questo non può essere vero, giusto? Non può averlo detto, dico bene? Non tanto e non solo perché sarebbe troppo sprezzante nei confronti di tutte le donne che scelgano di non generare, perché sancirebbe la figura della donna-come-fattrice- punto. Quanto perché giurerei che, nel corso del dibattito sull’astensione dalla procreazione assistita e dal voto, lo stesso direttore di questo stesso giornale argomentasse che la sterilità non è una malattia che va curata, ma una condizione naturale da accettare come tale. O forse ero distratta anche allora, e ho capito male. Facciamo finta di essere d’accordo su una premessa: si abortisce a quindici anni, non a trenta. Una donna adulta che non abbia ancora imparato a mandare a quel paese gli uomini che “con il preservativo non mi tira”, gli uomini che “stai tranquilla ci penso io”, e in generale a gestirsi accortamente le poche ore di fertilità che le capitano ogni mese, una donna così è adulta solo formalmente. Le gravidanze indesiderate sono un accidente di gioventù, di quell’età dell’innocenza in cui è ancora lecito pensare che gli uomini preferiscano essere informati della questione e partecipare alla decisione se abortire o procreare, di quel periodo di incertezza in cui è lecito non sapere se un figlio lo si vuole o no, e magari fare conversazione con un volontario può convincerti in un senso o nell’altro. Una donna adulta che – ops – resta incinta per sbaglio, e – ops – credeva di voler abortire ma le si può far cambiare idea come sull’acquisto di un cappotto che tutto sommato non le dona, una donna così è un’idiota. Vanno protette, le idiote, quelle che credono “che all’ottava settimana sia un grumo” e quando vedono l’immagine con le braccine sono così commosse che improvvisamente sono pronte a essere madri? Vanno salvate da loro stesse? E, se sì, è più protettivo nei loro confronti forzarle a riprodursi, mettendo al mondo figli indesiderati (al netto della poetica poi-sei-contenta), o a lasciar perdere, ché la maternità è questione che necessita di un po’ di sale in zucca, e non si capisce perché aprire una salumeria richieda una licenza e prendersi a vita la responsabilità di un altro essere umano neppure richieda un test psicoattitudinale? (Sì, sì: i figli si sono sempre fatti senza tante storie. Sì, sì: torniamo nelle caverne). Siccome Dio esiste e traccia i palinsesti, a interruzione del dibattito sull’aborto c’era uno spot della Mister Baby: la città pullulava di donne col pancione, e la voce fuori campo spiegava, casomai ce ne fosse bisogno, che da quando ci sono meravigliosi biberon e gadget assortiti della Mister Baby “cresce la voglia di diventare mamma”. Diteglielo, ai volontari, che basta così poco: invece di stordirle di chiacchiere, le gravide, si presentassero con un biberon in omaggio. Le sciocchine si lasceranno convincere. (Poi c’è la questione del “sostituirsi a Dio” e “chi sei tu per scegliere di dare la vita e la morte?”. Lieta di apprendere che Dio c’è per certo – mica ci si può sostituire a qualcuno che non c’è, no? – provo a rispondere: sono una che può dare la vita, e anche decidere di non darla. Spiacente, è una discussione impari. Magari nella prossima vita sei fortunato, nasci con un utero, ma per ora non puoi praticare nessuna delle due opzioni. Quanto al delirio di onnipotenza, segnalo il caso di scuola del “dare la vita per interposto parto”: la signora della Mangiagalli e l’orgoglio del suo sguardo nel raccontare, fingendo di schermirsi, delle madri che dicono ai neonati “non fosse per questa signora tu non saresti nato”. Poi lo scaricano a lei, il pupo, quando si accorgono di non essere portate per il mestiere di madre?) Il bello è che non parlano mai quelle che non sono né me né le dibattenti televisive. Quelle che, in caso di bisogno, vanno davvero in un consultorio. Ne parliamo noi, che abbiamo stipendi sufficientemente alti e assicurazioni sanitarie sufficientemente buone da, in caso di bisogno, andare non dal macellaio da ambulatorio mostrato in tv l’altra sera, ma in una qualche serissima casa di cura privata che scriva “raschiamento” sulla cartella clinica. L’abbiamo sempre fatto, perché sulla legalità prevale la comodità, lo faremmo anche se l’aborto fosse illegale. Il rappresentante del Movimento per la vita, osasse questionare sulle nostre decisioni, verrebbe trattato come un rappresentante di aspirapolveri. Ma non se ne darà l’occasione, perché noi dal consultorio non ci passeremo comunque. Non è un nostro problema. E’ un problema delle extracomunitarie, delle pocotenenti, e delle tredicenni. Quelle stesse tredicenni di cui, sempre l’altra sera in tv, un infermiere di un ospedale romano lamentava non usassero il preservativo e poi andassero a chiedere la pillola del giorno dopo. Ecco, io preferirei che qualcuno, magari genitori che si organizzino prima per non piangerne la morte per aborto malfatto dopo, insegnasse loro un paio di banalità sulla contraccezione. A quel punto, potrò anch’io iniziare a scandalizzarmi per le cose veramente importanti, quelle per cui l’altra sera in tv si scandalizzava il direttore di questo giornale: che per l’infermiere la pillola del giorno dopo fosse affare così banale da trattarlo con strascicata cadenza romanesca. A quel punto potremo tutti riguadagnare un po’ di stile, smettendo di sporcarci le mani con una bruta realtà fatta di sangue, sperma, dialetti.

Guia Soncini