Impronte

Il politologo Sartori difende la norma sulle impronte digitali per gli immigrati, partendo da una premessa, «in una società ordinata dobbiamo essere identificabili, dobbiamo avere un’identità personale», dalla quale dipende e si dipana la sua ragionata convinzione.

Non sono d’accordo con la prima parte della sua premessa: certo, dobbiamo “avere” un’identità personale, ma dobbiamo davvero “essere identificabili”? Già ora siamo tutti abbondantemente identificabili (e rintracciabili), almeno in Italia con tutte le sue leggi di polizia. Il problema è che comunque gli apparati di polizia, se rintracciano facilmente la grande massa degli “onesti”, hanno sempre problemi nel farlo fra i criminali, i terroristi, ecc. A mio parere non ci sono garanzie che le cose cambino con le impronte. E non è che ciò valga solo per noi italiani: gli immigrati legali (e spesso anche quelli clandestini) vivono e lavorano in comunità e luoghi ben identificati, o identificabili con un po’ di buona volontà.

Comunque perlomeno quella di Sartori è un’opinione non becera, di questi tempi è già abbastanza: vale la pena di leggerla